Jean Patry si racconta a 360°

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L’intervista completa di Jean Patry, rilasciata sul sito della federazione francese.


Sei arrivato a Milano l’estate scorsa, come ti sei adattato al suo nuovo club?

È stato un po’ particolare perché, come tutti, non toccavo la palla da molto tempo e aspettavo di vedere come sarebbe stata la risposta sia fisicamente sia tecnicamente. Alla fine sono rimasto abbastanza sorpreso, è andata molto bene e, a parte qualche piccolo intoppo fisico dovuto al lungo stop, sono riuscito a sistemare tutto. E poi l’integrazione all’interno della squadra è stata fantastica: abbiamo una squadra davvero buona e tutti vanno molto d’accordo. Andiamo tutti nella stessa direzione: è davvero bello allenarsi ogni giorno all’interno di questa squadra. E quando parlo di collettivo, intendo anche lo staff che facilita davvero questa atmosfera. Coach Piazza è uno che mette sempre molta energia nell’allenamento, gli piace che i giocatori siano felici di venire ad allenarsi.

Quali sono i punti di forza della squadra?
E’ davvero la squadra stessa. L’abbiamo visto molte volte in campionato: siamo una squadra che non si arrende mai, abbiamo recuperato set importanti quando eravamo sotto di tanti punti, siamo riusciti a rientrare in partita quando non giocavamo bene. Poi, singolarmente, abbiamo grandi punti di forza come Yuki Ishikawa, che è molto bravo e dà molto dinamismo in posto 4, ma potrei citare tutti i giocatori. È soprattutto nella squadra che possiamo contare, su questo spirito di non arrendersi mai.

Come giudica il tuo inizio di stagione?
Non ho giocato una grande partita contro Padova, ma sono abbastanza contento, sto lavorando bene in allenamento con il coach. Con Riccardo Sbertoli stiamo cercando la giusta intesa e con il tempo il nostro feeling migliorerà ancora e il nostro gioco sarà ancora più importante. Sono fiducioso. Nel complesso sono soddisfatto delle mie prestazioni, non è stato facile, perché è un grande passo trasferirsi da una squadra che gioca per salvarsi ad una che lotta per le prime posizioni. A Latina l’anno scorso ero il capocannoniere della squadra, quello che aveva più palle da attaccare mentre ora è un po’ diverso con il gioco è un po’ più distribuito tra tutti i giocatori. Devo abituarmi, ma sono sereno.

Sei soddisfatto dell’inizio di stagione di Milano, attualmente terzo con sei vittorie e due sconfitte? Quali sono gli obiettivi del club?
Sono sempre gli stessi, ovvero vincere il più possibile. Ci siamo qualificati per i quarti di finale di Coppa Italia ad inizio stagione, che è un obiettivo importante. In campionato il nostro primo obiettivo è quello di qualificarci per i playoff e poi di arrivare il più lontano possibile. Sono sicuro che possiamo fare grandi cose in questa stagione. Per il momento stiamo cercando di imparare da ogni gara, correggendo gli errori e andando avanti tutti insieme.

La gerarchia delle big 4 in Italia sembra cambiata un po’ in questa stagione: Milano che spazio può ritagliarsi?
È vero che le carte sono state rimescolate un po’ a causa del Covid, che ha colpito finanziariamente alcuni club. Noi però dobbiamo rimanere concentrati sul nostro gioco, vedremo più avanti dove saremo, ma abbiamo ancora delle partite importanti da giocare contro tre grandi squadre: Trento, che ha avuto una falsa partenza ma sta risalendo in classifica; Piacenza, che si trova un po’ nella stessa situazione, e poi Perugia. Penso che prima di fare un bilancio di quello che possiamo fare, dobbiamo prima termine il girone di andata.

Tra Latina, una piccola città, e Milano, una delle più grandi d’Italia, come è cambiata anche la tua vita quotidiana?
È cambiata molto: Latina era una piccola città dove non c’era molto da fare, mentre ora probabilmente sono nella città migliore in cui vivere, se si considerano tutte le squadre del campionato di pallavolo. Sono molto felice a Milano, ho un appartamento molto bello con giardino e sono molto felice della città. È difficile vivere al meglio la città con le attuali condizioni igienico-sanitarie, ma ho avuto comunque la possibilità di fare delle passeggiate; quando era permesso, potevo andare nei ristoranti, nei bar, fare delle passeggiate culturali, come visitare il Duomo. Vivere in una bella città come questa permette di fare anche altre cose oltre la pallavolo: ti permette di allontanarti da tutto di tanto in tanto e questo è importante, perché non siamo macchine.

La scorsa estate, senza impegni internazionali, ti ha permesso di rigenerarti un po’ dopo diversi anni molto impegnativi?
Per la testa è stato utile e mi ha fatto bene, fisicamente invece ci è stato un contraccolpo perché siamo abituati a fare sport ogni giorno ad alta intensità e ad alto livello ed uno stop di 3-4 mesi, o anche di più per alcune persone, fa davvero male, soprattutto perché non siamo abituati a rimanere fermi. Se hai due settimane libere in estate, sei fortunato. Quindi, fisicamente, è stata dura e penso che ci vorrà un po’ di tempo per recuperare tutta l’energia che avevamo prima del lockdown. Comunque sono riuscito a tornare a Montpellier per vedere la mia famiglia, riposarmi, pensare a qualcosa di diverso dalla pallavolo: non ero più abituato a farlo.

Ti è mancata la nazionale?
Sì, mi è mancato trascorrere questa estate con la nazionale, soprattutto mi è mancato il gruppo meno le partite invece, perché ne facciamo così tante durante l’anno che è bene ogni tanto far riposare la mente e non vivere lo stress della competizione e viaggiare tutto il tempo. Mi è mancato molto il gruppo: in nazionale siamo quasi come fratelli, siamo sempre felici di stare insieme.

Sei preoccupato per le Olimpiadi della prossima estate?
Non sto seguendo la situazione: si sentono varie cose e oggi non c’è niente di sicuro, quindi è inutile pensarci. In ogni caso, spero che si svolgano, perché per un atleta di alto livello è bello vivere questa esperienza. Di certo la situazione sanitaria è la cosa più importante. Ma se si tratta di fare le Olimpiadi a porte chiuse con misure molto severe, ne vale davvero la pena? I Giochi Olimpici sono una festa, un luogo di incontro dove tutto il mondo si riunisce per vivere e condividere lo sport. Se nessun spettatore può partecipare alle gare, possiamo chiederci se ne vale la pena a tutti i costi fare le Olimpiadi.

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